Tutta la conoscenza e la comprensione della persona umana passa attraverso l’atto, che è il momento della particolare manifestazione della persona. La piena conoscenza dell’uomo, però, deve tener conto dell’aspetto dinamico di questa stretta correlazione dell’atto con la persona, «aspetto che risulta dal fatto che gli atti vengono abitualmente compiuti dagli uomini “insieme con gli altri” uomini»[1], cioè in una comunità. La problematica personale è strettamente collegata con la problematica di comunità delle persone[2].

La spiegazione di questo aspetto porta a una controversia della soggettività e dell’intersoggettività, sulla base del contrasto, nella vita, fra l’umanesimo imperfetto antropocentrico (l’individualismo) e l’umanesimo imperfetto collettivistico (il totalitarismo).

Di seguito viene il problema della relazione reciproca e della superiorità fra soggettività e comunità. Inoltre sorge la domanda antropologica: quale è il significato del fatto di agire «insieme con gli altri» dal punto di vista del valore personale dell’atto? L’analisi del valore personalistico dell’atto umano, o meglio del valore personale, indica che questo valore è l’espressione particolare e la più essenziale del valore della persona stessa perché, come spiega il Cardinale Wojtyła:

Non consideriamo il compimento dell’atto da parte della persona come un fatto di significato soltanto ontologico. Ad esso attribuiamo anche un significato assiologico; il compimento dell’atto da parte della persona costituisce in se stesso un valore. Si tratta appunto del valore personalistico, poiché la persona, compiendo l’atto, si realizza in esso[3].

Poiché la realizzazione di sé nell’atto è intimamente legata al valore morale, possiamo considerare l’importanza dell’agire «insieme con altri» dal punto di vista del valore morale che si sviluppa sul fondamento del valore personalistico e lo permea, tuttavia non si identifica con esso.

Nell’ambito del compimento di sé si hanno ulteriori domande: in che modo l’uomo, attraverso l’agire «insieme con gli altri» in varie relazioni interumane o sociali, realizza se stesso personalmente e moralmente? È possibile la realizzazione di sé nel bene comune della comunità? Esiste una comunità personale e morale a somiglianza della soggettività personale e morale? In altre parole, possiamo parlare della comunità come una persona analogica, di più come una nuova soggettività?

Tutte queste domande trovano risposta nella nostra riflessione filosofica sulla partecipazione. La partecipazione come tratto caratteristico dell’agire «insieme con gli altri» è il termine chiave ed è definita dal nostro Filosofo Wojtyła nel modo seguente: «grazie alla partecipazione l’uomo, agendo insieme con gli altri, mantiene tutto ciò che risulta dall’azione comune e al tempo stesso, attraverso ciò appunto, realizza il valore personalistico del proprio atto»[4].

 

[1] «L’espressione “insieme con gli altri” non è abbastanza precisa né sufficiente, ma in questo momento sembra la più appropriata [...]. È noto che gli atti umani vengono di solito compiuti in diverse relazioni interumane e in relazioni sociali. Quando diciamo che essi sono compiuti “insieme con gli altri”, pensiamo a tutte queste possibili relazioni, senza entrare dettagliatamente in alcuna di esse», K. Wojtyła, Persona e atto, Città del Vaticano 1980, pp. 298-299.

[2] Cf R. Forycki, Antropologia w ujęciu Kard. Karola Wojtyły [L’antropologia secondo la concezione del Cardinale Karol Wojtyła], in: Analecta Cracoviensa 5-6 (1973-74) [1975]., p. 124.

[3] K. Wojtyła, Persona e atto, Città del Vaticano 1980, p. 302.

[4] Ibid., p. 306.

Autor: Jarosław Jęczeń
Ostatnia aktualizacja: 09.04.2014, godz. 20:33 - Jarosław Jęczeń